Bild su iPad, paghi o niente alla ricerca del business web
ROMA - Vi siete comprati un iPad, il gadget tecnologico del momento. Iniziate a navigare sul web e cercate l'indirizzo del sito del vostro giornale preferito. Ma invece dei titoli delle ultime notizie, vi appare un cortese messaggio che vi invita a scaricare un'applicazione. Avete appena scoperto che per compiere un'operazione che con qualsiasi computer è gratuita, ora c'è da pagare. Accade da qualche giorno in Germania, dove la Bild scommette che la disciplina e la fedeltà dei propri lettori saranno più forti del comprensibile sconcerto iniziale.
"Si tratta di un esperimento per capire se con questa offerta a pagamento si può aumentare il fatturato e far fronte così alla crisi della carta stampata", ha spiegato all'Ansa una portavoce di Axel Springer, la società editrice del più letto tabloid tedesco. Quasi tutti gli editori stanno realizzando applicazioni a pagamento per i nuovi tablet, i computer touch dei quali la tavoletta di Steve Jobs è il capostipite. Ma a nessuno era venuto in mente - finora - di proibire l'accesso al sito web da iPad. Non solo. Chi decide comunque di consultare l'applicazione della Bild - peraltro innovativa e originale - deve pagare un prezzo più alto della sua versione cartacea: 79 centesimi per 24 ore, 34,99 euro per tre mesi o 129,99 per un anno. Una decisione che - secondo l'editore - sarebbe giustificata dal fatto che la versione digitabile è più ricca di contenuti - multimedia ed edizioni regionali - di quella acquistabile in edicola.
Ora, non è che da Springer - società di solito lungimirante - siano improvvisamente impazziti. Una decisione come quella assunta per la Bild, primo quotidiano popolare tedesco, è solo il termometro della febbrile ricerca di un modello di business digitale che sta attraversando in questi mesi tutti i media tradizionali. C'è chi punta sulla pubblicità, chi sui contenuti a pagamento, chi prova una strada a metà tra le due scelte e chi cerca di adottare una strategia diversificata a seconda dei prodotti e delle piattaforme.
I draconiani del Times. Da sei mesi a questa parte i siti del Times e del Sunday Times di Londra sono passati integralmente a pagamento. I numeri hanno avuto un tracollo. Prima della chiusura i visitatori unici giornalieri, stando alle cifre dell'organismo di certificazione ABCe, erano 1,2 milioni. E dopo? I dati ufficiali rivelati a inizio novembre da News international - il gruppo di Rupert Murdoch di cui il Times fa parte - fissano a 50mila il numero degli abbonamenti mensili venduti, con altrettanti accessi singoli e 100mila lettori della carta che hanno attivato l'offerta congiunta stampa-web. In realtà, secondo una ricerca svolta dal Guardian e pubblicata la scorsa settimana, il quadro è anche peggiore. I visitatori mensili della parte a pagamento sarebbero 54mila.
"Circa 28mila", specifica l'indagine, "pagano specificamente per i contenuti digitali. I rimanenti sono abbonati alla versione cartacea che - sulla base del pacchetto scelto - ottengono accesso gratuito al sito".
Facciamo due conti. A due sterline la settimana, ammesso che tutti paghino per l'intero mese, farebbero 224mila sterline ogni 30 giorni, vale a dire poco più di 2,6 milioni l'anno. Mentre neppure le vendite in edicola hanno beneficiato del blocco. Ricavi come questi sono assai lontani da quanto portava - a sito gratis - la pubblicità. Del resto, tranne l'eccezione dei quotidiani finanziari, l'informazione generalista a pagamento su web non ha mai funzionato. E non per il peccato originale del tutto-gratis. Anzi, a metà degli anni '90 i primi giornali americani provarono proprio la strategia dei walled garden, per poi abbandonarla perché così l'audience non decollava. E in tempi più recenti, chi - come lo spagnolo El Pais - nel 2002 mise il proprio sito sotto lucchetto, pur avendo poi fatto marcia indietro ha perso la leadership di lettori e fatturato in favore di El Mundo.
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